Ehi ciao,
è un po’ che non ci sentiamo, vero? Sai com’è, giusto un paio di cose qua e là. Càpita è tornata in questo sabato soleggiato, spero tu sia al mare mentre la ricevi.
Ah, un’info di servizio. Càpita cambierà cadenza: la troverai nella tua casella di posta ogni tre, quattro settimane massimo. Sempre con la stessa quantità di maldestri spacchettamenti della vita adulta, meme di Kermit, articoli curiosi, profili Instagram interessanti.
Ho cominciato con l’acido ialuronico più o meno a ottobre. Ho aperto bacheche pinterest, pinnato idee e beauty routine, capito se e come abbinarlo ad altri prodotti come il retinolo o la niacinamide senza che mi deturpassi il viso, tutto The Ordinary mi raccomando, davvero, scegli quello, miglior rapporto qualità prezzo, vedrai i risultati. Mi sono studiata il viso per settimane prima dell’acquisto, ho visto la faccia punteggiata di brufoletti, al centro delle guance, sugli zigomi, in punti in cui non erano mai apparsi, “Si chiama ‘maskne’”, mi ha detto mia sorella, “È l’acne da mascherina.”
Ho cercato su google quella che a sua detta era la parola più cercata del duemilaventi sui motori di ricerca e dopo 32 minuti di ricerca avevo 12 schede aperte su Chrome e 50 euro di prodotti nel carrello di Sephora. That escalated quickly.
Nonostante io la pratichi con una ritualità quasi religiosa, la mattina dopo la detersione del viso con un prodotto in un tubetto verde, e la sera prima di andare a letto ma solo dopo essermi struccata, la skincare non ha effetti immediati visibili a occhio nudo. Più o meno come tutte le azioni che ho deciso di destinare proattivamente a me stessa e che richiedono un certo sforzo, come la dieta, la palestra, il curly girl method - quel processo di cura dei miei capelli che ho iniziato a novembre per recuperare i miei ricci, che consiste soprattutto nell’utilizzare prodotti di origine naturale, senza siliconi e solfati che appesantiscono il capello, ma questa è un’altra storia. Devo sedermi, confidare di aver fatto una spesa ponderata, applicare la stessa routine tutti i giorni con fiducia incondizionata nei risultati, e aspettare.
La psicoterapia funziona più o meno così, con la differenza che non c’è nessun tutorial su YouTube che ti dice cosa succederà nel momento in cui entrerai nella stanza della persona che hai chiamato al telefono, con la quale hai preso un appuntamento con le mani che tremavano.
La mia psicologa è una donna sulla sessantina, la carnagione olivastra, i capelli folti e castani, e della sua stagione dell’armocromia abbiamo già parlato; ha un cognome siciliano e uno sguardo indulgente, porta gli occhiali con una montatura scura e ha dei modi alla mano come quelli di una vecchia zia che vedi poco e quando torna ti porta sempre un regalo. Si veste bene, devo dire, ha uno stile quasi informale per essere una figura professionale; ogni tanto ha pure le sneakers ai piedi, le osservo qualche istante quando si allunga verso di me dalla poltrona dalla quale ascolta i miei grovigli, allungandomi una scatolina in cui dentro ci sono delle caramelle. “No, grazie, sono a posto”, le rispondo sempre, iniziando a giocherellare con i miei anelli, e comincio a raccontarle della settimana appena passata.
“Lei è la carta assorbente che asciuga il nostro olio che cola”, mi ha detto G. una volta. In quello studio ci sono arrivata dopo un periodo un po’ strano, di sensazioni ovattate e nebulose, in cui una delusione lavorativa era stata la prima tessera di un domino che mi aveva portato a giornate in cui le cose belle non risplendevano come dovevano e quelle brutte diventavano più difficili da affrontare, e un pensiero negativo era una trivella che mi portava giù, a indagare il fondo del barile con una torcia con le batterie quasi scariche. Ho impiegato quattro mesi a trovare il coraggio di chiamare un numero di telefono che mi avevano messo in mano, suggerendomi che quella potesse essere una soluzione.
Tendo a non avere ricordi precisi delle mie sedute di psicoterapia. È difficile anche ricostruire in modo sensato il percorso che fanno le mie parole, i miei pensieri: è come se i discorsi, le frasi, i ricordi, le lacrime, le parolacce, le risate tra quelle pareti, accanto a quelle mensole, sotto gli occhi di Freud, che la mia terapeuta tiene in foto nella libreria dietro alla scrivania, fossero avvolti nella gelatina.
Ho imparato che tra quelle mura i pensieri arrivano più o meno da chissà dove, con una dinamica di cui non mi preoccupo nemmeno più: nel primo periodo le cose traboccavano confusamente, uscivano come da uno scatolone troppo pieno, sformato, chiuso male. Cercavo di tenere un filo logico, perché se non ce l’ho io lei come fa a capire le cose e aiutarmi, cercavo di dirle cosa mi faceva stare male e perché, ma era più uno sputacchiare in giro in modo incontrollato.
Anche se non riesco a dare una collocazione temporale alle fasi che ho attraversato, a identificare un ricordo preciso, una cosa detta da me in quel preciso momento, so per certo di essermi domandata più di una volta dove avessi stipato tutte quelle cose dolorose, e se ce n’erano così tante, perché ci avevo messo così tanto ad arrivare lì, in quella stanza?
Il sabato mattina è il momento che preferisco per ascoltare i podcast, mentre cammino per il centro con la mente sveglia e attenta, ed è stato un sabato mattina che più per curiosità che altro ho messo su una puntata di Nuda e Cruda di Giada Arena, la quarta, l’ultima uscita, in cui Giada parla di salute mentale con Flavia Guarino, fondatrice di Restart - uno sportello di supporto psicologico per musicisti e addetti ai lavori del mondo dello spettacolo.
Se per molte ragioni per la nostra generazione ora è più semplice smentire l’assioma per cui occuparsi della propria salute mentale andando da un professionista, o assumendo dei farmaci, sia espressione di un problema grave e irreparabile, e di conseguenza normalizzare il prendersene cura come azione necessaria al proprio benessere, tanto quanto un male ai denti che ti porta dal dentista o una storta a una caviglia che ti porta dall’ortopedico, Giada e Flavia aggiungono anche che un’altra cosa che ha fregato noi Millennial è la narrazione troppo spesso romantica del dolore - soprattutto verso chi compie un’attività creativa, come nel mondo della musica - riferendosi a figure che sono stati dei veri e propri riferimenti culturali (Kurt Cobain, Amy Winehouse, eccetera), che ha impedito di percepire il lato reale, drammatico di patologie come un disturbo alimentare, una depressione, o un disturbo di personalità.
Non esiste un interruttore per certi pensieri, per certi malesseri che ti si appiccicano alla pelle: esistono dei modi per affrontarli però, per fare in modo che quella parte di te che è rimasta agganciata alla tua preadolescenza, alla tua adolescenza, agli episodi che hanno costituito un trauma durante la tua crescita, smetta di condizionare il tuo modo di parlare, pensare, comportarti oggi, non abbia più il controllo di te, non sia più il filtro che applichi inconsciamente durante le giornate. Riprenderlo in mano, rielaborarlo, costruirci sopra un’altra narrazione, collocarlo in un altro luogo della tua mente, risolverlo, non è facile, ma è la strada giusta per poter andare avanti; e nel farlo è necessario avere pazienza, perché gli effetti della terapia non sono misurabili nell’immediato, ma è un processo che può durare anche degli anni.
Tra i pochi ricordi che ho di frasi nette e precise pronunciate dalla mia terapeuta, ce n’è una che mi ha ripetuto molte volte da quando ci conosciamo. Lo fa tutte le volte che, durante una seduta, le apro la porta sulla frustrazione con cui attendo i cambiamenti, i miei cambiamenti, come se una parte di me mi aspettasse al varco con un qualsiasi strumento di misura per accertarsi che sì, sta andando bene, sta funzionando, osservando i passi in avanti, ma soprattutto condannando quelli indietro - perché se c’è un ingrediente davvero importante nella terapia, è l’autoindulgenza. ”Non si torna mai indietro”, mi ha detto lei, “Non sarai la stessa persona che eri prima perché, anche se non ti sembra, stai andando avanti.”
Ha un che di confortante sapere di star facendo dei piccoli ma considerevoli passi per me, per poter camminare su una strada libera dei paletti che mi sono trovata davanti in passato. Perché se non posso cambiare le cose che mi sono successe posso rielaborarle, se non ho potere su quelle che mi accadono oggi almeno posso avere coscienza del modo in cui mi ci rapporto, senza avere paura dei miei bisogni, di fare progetti, del mio futuro. Tipo come diceva Seneca, “È l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto il quale vivi.” E chissà se questa c’è su Pinterest.
Cose che mi sono capitate tra le mani
Questa è una Càpita a cui tengo particolarmente, quindi per questa volta le cose che mi sono capitate tra le mani avranno come argomento lei: la salute mentale.
The rise of therapy-speak di Katy Waldman sul New Yorker, un pezzo interessantissimo su come linguaggio, lessico, concetti che si rifanno al mondo della psicoterapia siano usciti dallo studio di un professionista per entrare nel parlato comune e nella vita delle persone;
l’analisi è una cosa difficile da inquadrare con le parole, ma Giuseppe Schiavone lo fa davvero bene in Come funziona l’analisi (con me), su Medium;
Instagram è un luogo pazzesco anche quando si parla di mental health, dai meme:
agli illustratori bravi come lo Tori Press:
un elenco su tutta Italia preparato da Daniela Collu, Stazzitta, su figure, enti, associazioni dove trovare sostegno psicologico;
It’s ok not to be ok, creativity!, una survey lanciata dai ragazzi di Odd Socks Studio che, a proposito di salute mentale, indaga sulle dinamiche tossiche dell’industry della comunicazione. I dati sono raccolti in un file excel, che si può consultare alla fine del questionario, it’s worth a read;
@instasogno, il profilo di Martina Ferrari, giovane psicologa che fa divulgazione con contenuti di approfondimento che aprono a matrioska tante dinamiche sociali e psicologiche in modo chiaro ed esteticamente molto bello, per esempio qui dove parla di pattern relazionali e di attaccamento:
Postilla finale, doverosa: non sono una psicologa, non ho alcuna preparazione in merito, e quella raccontata qui è solo la mia esperienza personale.
Càpita ti era mancata, ma questa volta ti è soprattutto piaciuta? Se sì puoi consigliarla a qualcuno che apprezzerà cliccando sul bottone qui sotto:
Alla prossima!
Baci stellari,
Laura